Lettera aperta a Massimo Gramellini
Lettera aperta a Massimo Gramellini:
Sig Gramellini buongiorno, sono un tifoso del Torino come lei, quasi suo coetaneo ( ho un paio di anni in più) , quindi entrambi facciamo parte di quella generazione che ha avuto la fortuna di vivere le( poche) soddisfazioni post Superga. Negli anni passati ho apprezzato il suo interessamento alla sorte del Toro, culminato con la famosa marcia dei cinquantamila di cui lei è stato uno dei promotori e alla quale io ovviamente ho partecipato.
Per questo ora, dopo vent’anni di limbo assoluto, di risultati mediocri, dove il massimo traguardo raggiunto sono stati due settimi posti, un derby vinto(perché i gobbi ormai avevano lo scudetto in tasca) , due sconfitte casalinghe ( 0 a 7 con Milan e Atalanta) umilianti, mai successo nella storia centenaria del Toro, non comprendo perché lei continui nel suo silenzio assordante, senza mai avere sentito da parte sua , una ben minima critica Verso l’operato di Cairo. Certamente , lo scrivere ora per il suo giornale, lo rende un suo dipendente, ma prima? Mi riesce difficile credere che a lei, possa stare bene una situazione come quella attuale, se così fosse , evidentemente c’è stata a monte una valutazione errata della sua persona da parte mia e allora mi scuso per il disturbo. Cordialmente.
Massimo Paruzza.
Il gramella editore vive con i soldi di Cairo di cui è presidente della RCS ,lui come tanti altri sono grati al mandrogno meglio il silenzio in assenza di onestà intellettuale.
Tutto quello che possono fare in questo momento è un endorsement meglio non stuzzicarli
Tengono famiglia.
Sempre forza Toro Massimo
Non avete capito , a cairo non interessa alzare l’asticella ; il suo primo impegno e acquistare ragazzi a poco rivalutarli facendoli giocare e prendere milioni della vendita futura , questo e il suo scopo principale tutto il resto sono balle .
Troppo bello ,grazie Pennisi
Carmelo Pennisi Columnist
22 agosto – 19:59
“Non cerco una bocca piena di promesse,
ma piuttosto un bacio pieno di certezze”.
Anonimo
Ci sono momenti in cui è davvero difficile scrivere su qualcosa che ami, e che tanti amano come te, soprattutto perché non sai se tutto ciò avrà un senso. Ma questi sono i momenti in cui proprio uno non può esimersi dal farlo, soprattutto per non cadere nell’indifferenza in cui qualcuno ti vorrebbe confinare avendo anche la pretesa tu sia contento. E invece tu diventi cattivo, feroce, spietato, perché proprio non ne puoi più di quella che fu una volta una “razza padrona” e ora non è più nemmeno “padroncina”, ma piuttosto “barboncina”. Accucciati negli anfratti privilegiati di ciò che rimane della gloria passata italica, stanno finendo di svenderne storia e mito. Sono senza orizzonti e si accontentano di poter fare shopping a “Via Montenapoleone” al fine di esibire quel rimasuglio patrizio che li fa sentire per un attimo in cima al mondo. Basta poco per allontanare la paura di finire tra le intemperie del volgo, e il mocassino scamosciato di lusso corre felpato per le strade di una vita forse goduta, ma che resterà anonima. Lo dico con franchezza: non perderò il mio tempo a provare a spiegare ad Urbano Cairo la nota “Parabola dei Talenti”. Non la capirebbe nemmeno nei prossimi cento anni, e poi a 67 anni oramai si è percorsa quasi una intera vita ed è difficile cambiare quando si è in vista dell’approdo finale supremo. Gli arabi dicono che si comincia a morire sin dal primo istante in cui si viene al mondo, ma a fare la differenza è il percorso a portare al traguardo.
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L’editore alessandrino è come la sua tv, La7, prevedibile fino al nano secondo di trasmissione, dove lo scontato è proprio il core business della rete. Quel 5% di share(poco più o poco meno) bulimico nell’assistere ad una parlantina politica a ciclo continuo h24, dove i concetti si ripetono sempre uguali a se stessi fino allo stordimento. Non ci sono scossoni, non ci sono sorprese, tutto serve per mantenere quel 5% di share ubriacato di solitudine politica da salotto. Nel mentre la passione politica si è persa, la gente diserta le urne, ma lui, Cairo, ha uno strapuntino di raccolta del mercato pubblicitario con cui illudersi di parafrasare una vita da Silvio Berlusconi. Non sa, non riesce nemmeno a rendersi conto di essere una perifrasi malriuscita del Cavaliere. Il Toro lo tiene esattamente come “La7”, ancorato al decimo posto e con una quota immobile di diritti tv, bistrattandolo alla stessa stregua di una squadra senza storia, e calpestandone ogni significato persino tra i più chiari, come il valore della parola data che fa parte del dna della storia di uno dei club più gloriosi del mondo. Valentino Mazzola perì a Superga per mantenere una parola data, perché un tempo, quando davvero esisteva una razza padrona e una classe intellettuale degna di questo nome, stringersi la mano valeva più di un contratto firmato. I tifosi del Toro, martoriati nei sentimenti negli ultimi trent’anni come non mai, avevano accettato senza discutere la partenza di Alessandro Buongiorno, ancora una volta avevano capito le esigenze finanziare di un club mai riuscito a decollare a livello di fatturati e utili. Ma tu, Urbano, avevi promesso, anche attraverso le parole del tuo direttore sportivo, che per quest’anno mai avresti lasciato partire Raoul Bellanova, e i tifosi granata ancora una volta avevano provato a crederti. Siamo, noi del Toro, degli orgogliosi mendicanti della speranza. Siamo dolore, perché abbiamo accettato da sempre di esserlo. Non te ne se mai accorto? La gente non capisce perché teniamo per questa squadra, quando dall’altra parte della città c’è la Juventus e tutto diventerebbe estremamente più facile, più dolce, e anche più tronfio. E tu riesci a capire il perché si tifa per la squadra che presiedi? La musica è sempre la stessa, “Il calcio è cambiato, non esistono bandiere, bisogna adattarsi alle nuove esigenze”, pensando così di giustificare fallimenti programmatici e difficoltà economiche. Ma il calcio non è cambiato esclusivamente per il Toro, è cambiato per tutti. Solo che in questo cambiamento l’Atalanta, a livello di risultati, è diventato il Toro, e il Toro è diventato l’Atalanta.
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Inoltre ci sono squadre, come il Bologna, con la capacità di compiere il miracolo, riuscendo persino di centrare la qualificazione in “Champions League”. E intanto si sogna, si fantastica, ci si emoziona. Si chiama gioco del calcio. Alla fine abbiamo anche accettato la tua incapacità di gestire un club calcistico( non ci sai fare, Urbano, fattene una ragione), ma la cessione di Bellanova non è segno di incapacità, è qualcosa di più: è un vero insulto, e la cosa più fastidiosa è la sensazione della tua convinzione di continuare a cavalcare il sentimento dell’impunità. E forse hai anche ragione a coltivare tale sentimento, considerato come i molti tifosi illustri del Toro non stiano dicendo una parola di commento sullo scempio in atto, lasciando colpevolmente in solitudine un gregge coraggioso e ancora combattivo ma senza pastori a dargli forza nell’oscurità. Quanto è profetico, in “Vita e Destino”, per ogni generazione a venire Vasilij Grossman quando parla della “gente apatica, che dice sì ad ogni malvagità, perché non si supponga che sono in disaccordo col potere”. La grande letteratura rivela sempre il cuore delle cose e svela i motivi per cui bisognerebbe e varrebbe la pena combattere.
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Di tutt’altro tenore è stato l’atteggiamento di Marcelo Bielsa, che tra lo stupore generale di una conferenza stampa post Uruguay Brasile di “Copa America” ha voluto rammentare come il calcio sia “essenzialmente di proprietà popolare, è dei poveri, perché non hanno possibilità di accedere alla felicità, non avendo i soldi per comprarla. Ma il calcio ormai i poveri non ce l’hanno più”. Denuncia dirompente a richiamare le origini sociali del calcio, ovviamente caduta nel vuoto del fuoco fatuo del chiacchiericcio sterile dei nostri supposti intellettuali sempre pronti ad andare in soccorso del vincitore. Bielsa, caro Urbano, stava parlando a quelli come te e a tutti gli indifferenti, pronti continuamente a giustificare la loro indifferenza attraverso l’adagio del praticone vissuto, di colui che ha capito come va il mondo. Viviamo in una società smemorata sull’esperienza, che è sempre frutto dell’osare di andare per traiettorie ignote. L’esperienza non è accumulare apaticamente anni di “servizio” o “l’ultimo posto di una parte sinistra della classifica”, ma vivere per provare a costruire una esistenza vera depurata dalla tentazione di tirare righe sicure sotto un bilancio. I genitori della classe operaia che si svenavano per far studiare i figli all’università, non avevano una minima idea di come sarebbe stato il loro domani a causa di quel sacrificio economico, eppur lo facevano. Questa si chiama esperienza, gravida di epopea e di valori. E mentre cerco, caro Presidente, delle parole giuste per congedarmi da questo articolo, arrivano le tue prime dichiarazioni ufficiali sulla cessione di Bellanova: “voleva(Bellanova) andare via, non tengo i calciatori controvoglia. Poi abbiamo altri giocatori di valore. Ho messo 72 milioni di euro nel Toro! Non sono un pozzo senza fondo”.
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Cascano le braccia, lo confesso, e verrebbe la voglia di cancellare tutto e scrivere un altro articolo e su un argomento ben lontano dal padrone di uno dei più importanti gruppi editoriali italiani(e quindi abbandono il tono confidenziale). E’ una dichiarazione surreale, dove si butta lì una cifra enorme(72 milioni) senza nessun giustificativo a sostegno e dove si conferma il suo essere assolutamente lontano dall’attuale contesto tecnico della squadra. Cosa vuol dire “abbiamo tanti altri giocatore di valore”? Abbiamo forse un altro Bellanova pronto a creare, con la sua corsa e il suo talento, improvvisa superiorità numerica in zona d’attacco? Abbiamo qualcuno in grado di fare 8 assist vincenti su azione? Stiamo parlando di calcio o cosa? Ma seguendo(con molta fatica) il filo dei 72 milioni, con cui ha improvvidamente provato a giustificarsi, il presidente Granata è caduto nella più classica eterogenesi dei fini: pur mettendo una somma considerevole di tasca sua, oltre ai ricavi assicurati dagli incassi, non è riuscito a far decollare l’azienda Toro. Ergo, si è dato dell’incapace. E direi come non ci sia altro da aggiungere alla penosa vicenda, se non sottolineare come la vita sia da sempre la migliore sceneggiatura mai scritta, con perfette sineddoche e metonimie: infatti domenica c’è Torino Atalanta.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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Come dice Cravero Cairo pensa solo a i soldi ecco perché Juric non ha rinnovato.
Presidente dovrebbe cagarsi sulle mani e poi prendersi a schiaffi successivamente fare i palleggi con la carta igienica per pulirsi la faccia