Gazzetta del Mezzogiorno,Petrachi:”Al Toro fatto plusvalenze per 230 milioni,vere…”
Domenica alle 12.30 si gioca Lecce-Torino: è la partita dell’ex centrocampista leccese, che rievoca aneddoti, ricordi, emozioni. «Lecce e Torino, la storia della mia vita. Una gara da tripla»
Il Salento è casa, le origini, la spensieratezza della gioventù, l’inizio della carriera da calciatore. Sotto la Mole, poi, un’avventura professionale da direttore sportivo lunga quasi dieci anni e piena di soddisfazioni. Lecce-Torino (domenica alle 12:30) è la partita di Gianluca Petrachi, doppio ex di questo confronto che rievoca aneddoti, ricordi, emozioni. Cuore in subbuglio per l’ex centrocampista leccese, 54 anni, a poche ore da una delle gare più interessanti della ventiseiesima giornata di Serie A.
Petrachi, come sta vivendo la vigilia di questa sfida del Via del Mare tra i giallorossi e i granata?
«Sono emozionato, inutile far finta che non sia così. Una partita che racchiude la mia vita. Lecce è casa mia, il cuore, la città dove sono nato, c’è un grande sentimento e coinvolgimento. Il Torino rappresenta una storia professionale, da dirigente, molto bella e appagante».
Sarà allo stadio? E il cuore da che parte pende?
«Sono a Lecce ma non sarò in tribuna: è una partita speciale, preferisco vivere da solo, senza riflettori addosso, le mille emozioni di questo match e i ricordi. Quando ho incontrato le mie ex squadre, da avversario, sono sempre stato molto professionale nell’approccio alle partite. Stavolta entrambi i club sono nel mio passato. I colori giallorossi rappresentano la mia vita. La storia della mia famiglia, mio papà Bruno che veniva chiamato da Jurlano per rallegrare, con le sue canzoni, i calciatori quando le cose non andavano bene. In questo c’è tutto il senso della risposta».
Da calciatore è stato ex di entrambe le squadre.
«Fui preso nelle giovanili del Lecce quando ero al Milan Club Vernole, debuttai in B nell’87, allenatore Mazzone. Un sogno, per me che ero cresciuto con mio padre sugli spalti del Via del Mare. Ricordo un Lecce-Rimini 0-1, fine anni Settanta: avevo meno di dieci anni, perdemmo 0-1 e fu la prima volta che piansi allo stadio. Torino fu un’esperienza di pochi mesi: poca pazienza da parte mia e loro, volevo giocare e scesi di categoria. C’era Calleri come presidente, scomparso pochi giorni fa. Non conobbi a fondo la città, cosa che feci dopo, da dirigente. Scoprii Superga, il fascino e la storia che unisce la tifoseria ai colori granata: qualcosa di mistico, che mi ha toccato molto, essendo io un uomo che ha molta fede».
Da direttore in granata, invece, è stata tutt’altra esperienza.
«Una promozione in A, due qualificazioni all’Europa League. Quasi 230 milioni di euro di plusvalenze, ma di quelle vere… Vendemmo Ogbonna alla Juve e con quell’introito e i diritti tv cominciammo a comprare calciatori come Darmian, Benassi, Baselli, Glik, Cerci, Immobile, D’Ambrosio, Bruno Peres, Belotti, Bremer. Riuscimmo ad abbinare belle operazioni di mercato ai risultati sul campo».
Domenica che partita sarà?
«Mi aspetto una gara tosta, aperta e combattuta, da tripla. Tutte e due le squadre sono in “comfort zone”, non hanno la pressione della gara da ultima spiaggia. Penso che al Lecce bastino altre tre vittorie per blindare la salvezza. Il Torino, con Juric, ha un marchio ben preciso: aggressività e intensità, gioca a tutto campo, uomo su uomo. Anche il Lecce si propone pressando alto e con grande coraggio, la chiave di volta credo sia stata la gara dell’andata al Via del Mare contro l’Atalanta, a cui assistetti dallo stadio».
Qual è la ricetta di questo Lecce rivelazione?
«Corvino conosce molto bene il suo mestiere. Baroni sta tirando fuori dalla squadra più di quello che è nelle corde dell’organico: un allenatore che secondo me, finora, è stato sottovalutato. Considerato che come monte ingaggi e spese sul mercato per acquistare i giocatori è riuscito a contenere molto i costi, il Lecce se raggiungerà la salvezza, come credo possa tranquillamente riuscirci, avrà fatto un capolavoro. La società peraltro è fatta da leccesi, a partire dal presidente. Questo è motivo d’orgoglio per noi salentini, ed è indice di presenza sul territorio: il club vigila tutti i giorni sulle attività e ci mette poco, così, ad affrontare e risolvere i problemi. Quando ero alla Roma gli equivoci nacquero proprio perché la proprietà della società era lontana, non ci si riusciva a parlare. Eppure la Roma di adesso e che ha vinto la Conference League gioca con una squadra composta per 8/11 da giocatori che portai io nella Capitale».
Chi l’ha impressionata di più dei calciatori del Lecce?
«La squadra è per intero un buon organico. Hjulmand dà sostanza, equilibrio, è pragmatico nel suo modo di giocare e rappresenta, in campo, ciò che il Lecce è come società: poche parole e tanti fatti, stare zitti e pedalare. Baschirotto ha dato il 110%, finora, delle sue potenzialità e mi auguro che possa continuare così. Strefezza e Di Francesco sono due esterni d’attacco che, se stanno fisicamente bene, possono fare la differenza».
Il futuro di Petrachi?
«Mi aggiorno sui campi, senza negarmi momenti di distrazione come qualche partita a padel con gli amici. Vedo poca meritocrazia in questo calcio. Mi hanno cercato tre club negli ultimi tempi ma non mi ha convinto quello che mi hanno prospettato. Il denaro conta fino a un certo punto, più importanti sono le idee e la competenza. Io vivo di passione. Aspetto una proposta che riaccenda il fuoco che ho dentro».
Fonte: Gazzetta del Mezzogiorno
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