Mandragora:”Possiamo ambire a grandi palcoscenici”
Rolando Mandragora si è raccontato ai microfoni di Torino Channel.
Quando nasce la sua passione per il calcio?
“Mio papà gestiva una scuola calcio. Sono cresciuto con questa passione, era nei discorsi quotidiani e ha sempre fatto parte della mia famiglia. Sono cresciuto a pane e pallone. Spesso guardavo le partite di mio zio, le vittorie come le sconfitte. Ho preso tanti segreti da lui nonostante fossi piccolino”.
Com’è nascere a Scampia?
“Viene etichettato in modo particolare, ma noi che siamo cresciuti lo amiamo: c’è gente che lavora e ha sogni, sarà sempre il mio quartiere. Lo difenderò sempre dalle voci che circolano. Viverci è stato normale, sarò sempre grato a Scampia. A 14 anni sono andato a Genova”.
Come andava a scuola?
“Ero diligente, anche se non mi piaceva studiare. Ma apprendevo durante le lezioni a scuola, non ho mai avuto problemi”
Come sono andati i provini?
“Ho ricevuto tanti no: ho girato l’Italia perché avevo un sogno, il Genoa ha creduto in me poco prima dell’esame di terza media. Non ho mai mollato, dalle altre parti ho ricevuto tante porte in faccia. Avevo spensieratezza e mi aggrappavo al mio sogno. E’ stata una crescita naturale, ho lavorato tanto in palestra perché ero gracile: è anche per questo che tante squadre mi hanno scartato. Sono contento del percorso che ho fatto e delle esperienze che ho avuto: al Genoa ho esordito in A e porto bellissimi ricordi”
A Genova ha trovato Marco Pellegri.
“Marco Pellegri è un secondo papà, mi ha accolto subito benissimo. I miei genitori hanno patito un po’, mia mamma ha provato a farmi cercare di restare a Napoli perché il Napoli mi cercava. Ma sapevo che lì sarebbe stato più difficile e ho preferito andare via. Ho sofferto la mancanza della mia famiglia, ma sono orgoglioso del mio percorso. Pellegri ci è sempre stato vicino, lo ringrazio pubblicamente e sono felice di averlo ritrovato qui”.
Come andò il tuo esordio?
“Era Genova-Juve, fu un mix di emozioni e lo porterò sempre con me. Ero spaventato e teso, ma Rincon e Bertolacci mi diedero una grande mano. Ho preso poi subito confidenza con campo e ambiente, lo stadio era pieno ed è stata una grande emozione”.
Che tecnico è Juric?
“E’ carismatico, cura i dettagli e tutti gli aspetti. E’ un allenatore a 360 gradi, ci sta dando molto e lo sta dimostrando. Siamo carichi, continuiamo a seguirlo per arrivare a risultati sempre migliori”.
Come mai è entrato subito nel cuore dei tifosi?
“Per l’impegno che metto alla domenica, per me è un orgoglio essere entrato nel cuore dei tifosi in poco tempo. E’ un ambiente caloroso e che mi piace per come si vive la settimana, è caldo e familiare: possiamo ambire a grandi palcoscenici”
Il primo impatto con Superga.
“Sono stato per conto mio, volevo vedere con i miei occhi e toccare le sensazioni che si provano: c’è un clima surreale ed emozionante”.
E’ un idolo per tanti ragazzi.
“Mi piace interagire con loro: ognuno ha i propri sogni, mi piace incoraggiarli e dare loro qualche consiglio. Cerco di trasmettere la cultura di lavoro, ripaga sempre ciò che fai prima o poi. La cosa più bella è il confronto, è la parte più interessante”.
Quanto torna a Scampia, cosa vede?
“L’amore che prova per me la mia famiglia. Mi piace ritrovare gli amici e giocare con loro, ho un bellissimo rapporto con la mia famiglia: hanno fatto grandi sacrifici, è l’emozione più grande poterli ripagare. Mio papà lavorava di notte, l’amore nei confronti della famiglia va oltre ogni cosa”.
Sta pensando a costruire una famiglia con la sua ragazza?
“Ne parlo spesso con Lucia: non vediamo l’ora, speriamo che accada presto e che Dio ce la mandi buona. Ci piace girare Torino, passeggiare sul Po e lungo il parco del Valentino. Mi trovo benissimo a Torino, anche se un po’ mi manca il mare”.
Cosa rappresenta per lei l’azzurro della Nazionale?
“Tutto. Rappresentare il proprio paese è pazzesco, ho avuto il piacere di giocare una volta ed è stato bellissimo. La convocazione in Under 21 arrivò quando giocavo a Pescara, stavamo facendo bene in serie B e io stavo facendo bene. Ho ottimi ricordi, giocai subito titolare e fu una bella partita. Ero già stato nelle giovanili, la Nazionale mi ha permesso di attirare le attenzioni degli addetti ai lavori”.
E in Nazionale maggiore?
“Ne ho vissute due: cantare l’inno davanti ai francesi è stato particolare per la rivalità che c’è, ricordo la bordata di fischi e noi che stringevamo forte. Ho grande voglia di tornare in azzurro”.
Quali sono le delusioni maggiori?
“Per ora sono gli infortuni, sono arrivati quasi sempre nel mio momento migliore. E’ un rammarico che ho, fin quando reggeranno le gambe continuerò a lavorare per migliorare. Quando sei infortunato vivi la tua famiglia, c’è poco tempo per vedere i tuoi compagni. Poi, quando ti avvicini al rientro, i compagni hanno un ruolo importante”.
Chi le ha trasmesso positività?
“Ho imparato subito a fare tante cose da solo, a piangere da solo e a rialzarmi da solo. E’ una qualità che ho dentro”.
E’ un leader?
“Mi piace dialogare e farmi sentire, mi fa piacere anche essere riconosciuto così perché vuol dire che lasci un bel ricordo. E’ più importante lasciare qualcosa a livello umano che calcistico”.
Si ferma anche post-allenamento?
“Sono un amante del lavoro, cerco di migliorare sempre su ciò che mi manca”.
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