La calda estate del '92 di Gigi Lentini - IL TORO SIAMO NOI
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La calda estate del ’92 di Gigi Lentini

Calda, caldissima l’estate del ‘ 92. Berlusconi spese sessanta miliardi per avere Gianluigi Lentini. Bruciò in poche ore l’ offerta della Juventus degli Agnelli. L’ Italia gridò allo scandalo, il giocatore del Torino candidamente ammise: “L’ ho fatto per i soldi”. Il calciatore più pagato della storia: quattro volte più di Maradona, due volte più di Roberto Baggio. Lui, quel giorno, aveva uno sguardo spaventato e smarrito mentre stava scappando sotto i portici di via Roma, raggiunto da una pioggia di monetine e insulti. “Lentini/puttana/l’ hai fatto per la grana”.

Attorno a sé, centinaia di tifosi granata inferociti, delusi da un ragazzo che per settimane aveva resistito al Milan di Berlusconi. Invece ci andò per 21mila milioni netti in quattro anni. “Ho cambiato idea per il denaro, mi sembra una buona ragione. Io un esempio negativo? Semmai lo sono i drogati”. Ma erano parole affaticate. Intorno a Lentini si era giocata l’ ultima grande partita Milan-Juve, o meglio Fininvest-Fiat. Ora che Borsano comincia a raccontare la verità, scopriamo che quella fu un’ estate piena di colpi bassi e fondi neri. Eppure Mani Pulite c’ era già. Sport, politica, affari, sottogoverno. Il 30 giugno ‘ 92 regalò all’ Italia la fase terminale del calcio folle, l’ esasperazione di un metodo assurdo, basato sulla concorrenza sfrenata tra i club. Il pallone come macchina di consenso, come anticipo di campagna elettorale: ne approfittò Gianmauro Borsano, l’ uomo che ha distrutto i conti del Torino Calcio. Si fece eleggere deputato come indipendente nelle liste del Psi, si prese 36mila voti. Neanche difficile, con uno sponsor politico come Craxi e con uno strumento perfido come il calcio distorto. E a Montecitorio evitò la galera.

Ma in quei giorni roventi stava cominciando a far politica indiretta anche il Cavaliere: acquista Lentini (18 miliardi al Torino, 42 d’ ingaggio lordo al giocatore), lo regala al popolo rossonero, lo paga per una parte in nero – confessione di Borsano ai giudici torinesi – versando cinque miliardi presso una banca di Lugano. Questo era il suo ‘ nuovo miracolo italiano’ . Semmai un miracolo che nessuno avesse nulla da eccepire, a parte l’ opinione pubblica: in silenzio la Federcalcio (il presidente Matarrese stava trattando la rielezione a capo della Figc), in silenzio il sindacato dei giocatori. Omertà, complicità. Non sono trascorsi neppure due anni e il risultato è un’ agonia generale, in dispregio dei valori dell’ economia, dello sport e del buonsenso. Sessanta miliardi per cinque giorni di guerriglia urbana.

Gli ultrà granata cominciarono ventiquattro ore dopo l’ annuncio di Borsano: “Lentini è del Milan”. Duecento, trecento, poi mille, duemila. Torino fredda, Torino distante, Torino pacata e rassegnata. Manco per niente. Si piazzarono in corso Vittorio Emanuele, davanti alla sede della società. Un inferno di rabbia e fuoco. I tifosi bruciarono auto, cassonetti dell’ immondizia, tutto quello che c’ era lì intorno. E le fiamme si alzarono dal portone in legno della sede invasa, esplosero vetri nella notte, volarano schegge e bastoni. I pezzi di un’ inferriata divennero armi da usare nelle lunghe ore violente, si fece mattina a caccia di potenziali nemici, alcuni negozi del centro sfasciati e solo un ferito, un vigile urbano.

Poi le repliche dopo un giorno, dopo due, dopo tre. Infine tutto passò, purtroppo anche la memoria di quelle ore profetiche. Il Milan, la Juventus e le altre grandi continuarono a sfidarsi nella giostra del capitalismo tradizionale o postmoderno, a rotolare verso la crisi senza il coraggio morale di nessun rifiuto che non fosse imposto dalla bieca necessità. “Lentini/puttana/l’ hai fatto per la grana”. Le madamin a passeggio si turavano le orecchie, in quel pomeriggio di fine impero. Ma Gianluigi Lentini, il figlio del carpentiere, con quel colpo sistemò intere generazioni presenti e future. Cominciò piazzando padre, madre, tre fratelli e una sorella in una fantastica villa in campagna, disse cose sconvolgenti e inconsapevoli: “Ho avvertito il fascino dell’ elicottero del signor Berlusconi, è venuto a prendermi mentre stavo in vacanza, che bello parlare con lui”. La villa di Arcore, i quadri, l’ equazione soldi-successo-potere. Tutto già visto, però non l’ aveva visto lui, il fantasista che stava quasi per dire sì a Boniperti: il presidente dei vecchi scudetti gli illustrò tra le altre cose le suggestioni di una maglia a strisce bianche e nere. Un po’ poco, meglio il nero sul bianco di un assegno. Sentenziò l’ Avvocato: “Berlusconi è un leader al quale manca il senso dell’ equilibrio”. Invece Sua Emittenza continuò a pensare di avere ragione: “Non sono impazzito, alla Juventus ricordo la storia della volpe e dell’ uva”. Juve-Milan? No, Fiat-Fininvest. Con un attaccante come rampa di lancio per nuove avventure, come potenziale moltiplicatore di successo. Sponsor, spot, tournèe all’ estero, abbonamenti, merchandising, fondi di investimento. Quei sessanta miliardi sarebbero rientrati più gonfi, più luminosi. Non ne dubitava il Cavaliere. Ma basta poco per spostare i progetti, basta un incidente d’ auto dopo una partita del Milan, basta una Porsche che sbanda sull’ autostrada e il ragazzo ricco vola sull’ asfalto, batte la testa, entra nel lungo sonno dal quale per fortuna si sveglia. Però non gioca quasi più. E’ sempre della vita, l’ ultimo dribbling.