Guai per Preziosi. Sapeva delle minacce degli ultrà a Izzo ma non denunciò
Sul Secolo XIX le nuove carte dell’inchiesta su alcuni capi ultrà accusati di aver ricattato la società in cambio di soldi. Il presidente si lamentò con i club per le intimidazioni ma ai pm disse di non sapere nulla
L’altro ieri il tribunale del riesame ha disposto l’arresto di tre leader storici della gradinata Nord del Genoa. Massimo Leopizzi, Fabrizio Fileni (Brigata Speloncia) e Arthur Marashi (mediatore tra le frange radicali del tifo e organizzatore dei servizi steward attraverso la 4 Any Job di cui era socio occulto) sono accusati di “associazione a delinquere finalizzata a estorsione, violenza privata e lesioni”. Altri cinque indagati sono invece sottoposti all’obbligo di dimora a Genova.
La vicenda è sul Secolo XIX. Il tribunale ha ritenuto fondate le accuse dei pm secondo cui
“una frangia della tifoseria genoana otteneva 50mila euro l’anno in cambio della pace sociale”.
Il provvedimento è congelato, in attesa che si pronunci la Cassazione. Il Genoa, intanto, nega la circostanza, ribadendo di non aver mai pagato tifosi violenti.
Negli atti del riesame c’è qualcos’altro.
Il 27 marzo 2017 Armando Izzo, allora giocatore del Genoa, è al ristorante San Giorgio.
“Una sua foto finisce sui social e a stretto giro si ritrova circondato da 20 ultrà, guidati da Nicolò Garibotto e altri appartenenti al club 5R”.
Secondo gli inquirenti, il presidente del Genoa, Enrico Preziosi, era stato informato delle minacce a Izzo ma non le ha denunciate.
Preziosi stigmatizzò”duramente” l’episodio con il presidente dell’Associazione club in una lunga telefonata nella quale chiedeva di “non toccare” i suoi dipendenti”.
Il quotidiano riporta le parole di Preziosi:
“Io accetto democraticamente qualsiasi forma di contestazione, non che qualcuno tocchi un mio dipendente o la mia squadra. Izzo era in un ristorante, gli hanno rotto i c…, in 15 di cui 1 ultrà. Io metto tutte le cose in piazza, perché ho prove di tutto, di’ a Massimo, a Marco e al signor Davide, io comincio a reagire. Io sono stato bravo, ci ho messo sempre cinquanta milioni in questa società. adesso, visto che voi mi contesterete… tutto il resto… chi sono i fautori di tutto… no, no, ho prove audio. Mi sono rotto i c…”.
Ma quando la Procura, due mesi dopo, lo convocò per chiedergli se fosse a conoscenza della medesima intimazione, negò categoricamente.
Un episodio che i giudici definiscono ‘emblematico’ del clima che per anni ha segnato il rapporto tra alcuni capi ultrà rossoblu e la dirigenza.
“La conversazione è di particolare interesse perché, oltre a dimostrare che il presidente ritiene l’interlocutore appartenente allo stesso gruppo di Leopizzi (Massimo) e Pellizzari (Marco) e che ha avuto contatti con loro di cui conserva registrazione, documenta che lo stesso Preziosi sa dell’intimidazione ai danni di Izzo e non l’ha denunciata alle autorità. Ed è significativo che lo stesso Preziosi, sentito dal pubblico ministero il 24 maggio 2017, abbia risposto negativamente alla richiesta di riferire se fosse a conoscenza di intimidazioni e contestazioni realizzate da ultras ai danni di calciatori del Genoa”.
In un altro passaggio dell’ordinanza, i giudici scrivono:
“Sintomatiche dell’incidenza effettiva delle condotte di Leopizzi e dei suoi sullo staff dirigenziale del Genoa, sono le conversazioni tra il presidente Preziosi e l’amministratore delegato Zarbano. Quest’ultimo specificava che le contestazioni erano di fatto relegate alle azioni di Leopizzi e di circa 200 suoi ragazzini. Ma Preziosi gli replicava che sebbene i 200 ragazzini manovrati da Leopizzi fossero una porzione minima dell’intera tifoseria genoana, rappresentavano un numero sufficiente a esercitare su di lui, sia sul lato professionale sia su quello personale, delle illecite pressioni pur non condizionando le sue scelte”.
I giudici riportano uno stralcio della conversazione. Preziosi diceva al telefono:
“Mi rompono i c… giorno e notte, telefonano con schede prepagate”.