Ha davvero senso riprendere il campionato?
Il calcio vuole ripartire, ma sarà ancora possibile chiamarlo tale? Questa è la domanda principale da porsi perché il rischio, sempre più concreto, che ci apprestiamo a correre è che questo sport possa diventare altro.
Si riparte o almeno si fa un tentativo per riprendere il prima possibile, per tornare a rimettere in moto la macchina e per tornare alla normalità. Anche se poi parlare di normalità sarà più complicato di quanto sembri e di quanto si voglia far credere. Le difficoltà non saranno solo quelle morali, sistemiche e di protocollo ma ci saranno problematiche concrete che dovranno essere superate da chi scenderà in campo.
La gioia derivante da un gol dovrà essere strozzata e dovrà limitarsi ad un mero urlo che senza un abbraccio diventa quasi inutile. I calciatori, con tutta probabilità, cercheranno di ridurre al minimo i contatti e il gioco potrebbe risentirne parecchio. Uno sport che fa dell’esuberanza fisica uno dei maggiori tratti distintivi dovrà frenarsi e dovrà limitare le proprie potenzialità.
Immaginate uno scontro fisico tra Lukaku e Smalling, non potrà mai essere come quello del girone di andata dove le “sportellate” fra i due colossi hanno contribuito a rendere ancora più spettacolare il match d’andata tra Inter e Roma; immaginate Simone Inzaghi che dovrà continuare a guidare la sua Lazio verso il sogno Scudetto con una mascherina a soffocare le urla; ma soprattutto, immaginate lo sforzo mentale che dovrà fare Antonio Conte per non abbracciare tutta la panchina dietro di sé dopo un gol della sua squadra.
In secondo luogo va considerato un altro aspetto: la credibilità sportiva della stagione. Giocare dopo quasi tre mesi e far ripartire un campionato che stava dando verdetti incredibilmente sorprendenti è davvero la soluzione giusta? La competizione è soprattutto tensione e concentrazione che devono essere mantenute alte se si vogliono superare i propri limiti.
Il cambiamento più evidente, senza dubbio, sarà quello in campo e quello relativo alle dinamiche di gioco, come mischie in area di rigore e i contrasti. Poi però cambieranno anche molte altre cose: una su tutte, il calciomercato. Il mercato dovrà necessariamente fare i conti con i bilanci delle società che non potranno far leva sulle valutazioni gonfiate dei giocatori di maggior talento.
Comprare un giocatore a 222 milioni sarà complicato, così come vendere un under 21, con poche presenze in Serie A, per circa 20 milioni. Si rischia di dover far fronte ad una grave crisi finanziaria che potrebbe travolgere non solo le piccole società, ma anche i club strutturati ed economicamente più forti. Spendere più di quanto si incassa diventerà un rischio sempre maggiore, un gioco talmente pericoloso che potrebbe far saltare il banco.
E i tifosi? Se il calcio cambia, si allontanano anche loro
E i tifosi? Beh, i tifosi si sono già schierati. Molte delle tifoserie si sono espresse e sono contrarie alla ripartenza perché per prime hanno capito quanto questa nuova normalità li penalizzi. Gli stadi non riapriranno, i seggiolini rimarranno vuoti e il silenzio assordante di alcuni impianti potrebbe rendere ancor più inverosimile uno sport che difficilmente riuscirà ad essere di nuovo credibile.
Il punto è semplice. Ammesso che il calcio non è più quello di una volta, ha davvero senso riprendere senza il cuore pulsante di uno sport popolare? Sotto questo punto di vista gli interrogativi emersi non sono mai stati tanti o forse, molto banalmente, non interessano più come una volta perché, se i club sono più preoccupati del pagamento dei diritti tv piuttosto che del botteghino, qualcosa di strano deve esserci. Gli interrogativi e i dubbi sono molti ma forse ce n’è uno che vale più di tutti: cambiare serve per sopravvivere, siamo disposti a subire questo “cambiamento verso normalità” per tornare ad esultare?