Corsport: la triste fuga degli juventini,chi doveva controllare non l’ha fatto
Il contagiato deve aspettare due settimane prima di poter uscire dall’isolamento. Che brutta figura, Juve, nei giorni in cui il governo avvisa gli italiani che chiunque abbandoni il suo domicilio senza gravi e comprovati motivi – e tra questi espressamente non può esserci il desiderio di andare a trovare i genitori – commette il reato di inosservanza ai divieti della pubblica autorità.
E se questa violazione riguarda chi potrebbe trasmettere il contagio, si aggiunge il reato assai più grave di epidemia colposa. Per cavarsi d’imbarazzo la società bianconera fa sapere di non aver organizzato la partenza, ma di essere stata solo informata della volontà dei calciatori di voler abbandonare quello che viene definito un isolamento volontario. Ma qui c’è un primo punto oscuro. Perché gli juventini non erano in quarantena? L’isolamento «fiduciario» – questa la dizione corretta – è la raccomandazione che il decreto del governo fa a chiunque rientri in Italia da un Paese straniero o raggiunga la propria residenza da una zona a rischio. Se invece all’interno di un nucleo familiare, o di uno studio professionale, o di una squadra di calcio c’è qualcuno che si ammala di coronavirus – è il caso di Rugani – tutti coloro che sono stati a contatto diretto con lui devono essere messi in quarantena, che è un provvedimento tassativo disposto dall’autorità sanitaria.
L’articolo 1 del decreto del 21 febbraio scorso non lascia spazio a interpretazioni: «È fatto obbligo alle Autorità sanitarie territorialmente competenti di applicare la misura della quarantena con sorveglianza attiva, per giorni quattordici, agli individui che abbiano avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva Covid-19». Perché ciò non è accaduto? I medici della Juve hanno denunciato la circostanza alla Asl competente? E se lo hanno fatto, chi è stato inadempiente? Poi c’è un secondo punto. I campioni in fuga hanno esibito a una esterrefatta polizia aeroportuale la certificazione di negatività al tampone. Chi gliel’ha praticato? A che titolo? E quale valenza ha questo documento? Perché un normale cittadino, che dall’isolamento voglia raggiungere i suoi cari, o piuttosto il suo ufficio, dovrà aspettare quattordici lunghi giorni senza che nessuna struttura pubblica gli praticherà mai il tampone, in assenza di chiari sintomi della malattia, e invece un calciatore può ottenerlo attraverso un canale preferenziale? Da ultimo: quali condizioni di necessità giustificano la fuga? Ci sono in questa vicenda molti buoni motivi per fare chiarezza, da parte delle autorità competenti.
Ma quand’anche le stranezze e le irregolarità qui raccontate non rappresentassero violazioni rilevanti, la fuga degli juventini resta una brutta pagina di queste drammatiche giornate italiane. Non consola sapere che il Pipita e compagni abbiano a Parigi i degni colleghi Neymar jr e Thiago Silva, rientrati di soppiatto in Brasile, perché – come ha rivelato la fidanzata dell’ex difensore rossonero – «non si trovava più nulla nei supermercati».
La loro impresa ci consegna una triste consapevolezza: il calcio ha allevato una generazione di bamboccioni milionari, convinti di essere sciolti da qualunque vincolo di legge e di correttezza civile, prima che sportiva. Torneranno presto, gli uni e gli altri. E con un gol strapperanno ancora il nostro amore. Ma di fronte alle immagini di un Paese in ginocchio e fiaccato dalle privazioni, lasciateci dire che la loro fuga fa tanta tristezza.
Fonte corriere dello sport