Junior:”A Cairo dei sentimenti dei tifosi non importa nulla”
Queste le dure parole di Junior di qualche tempo fa.
“Il Toro che ho vissuto io oltre ad avere in rosa grandi campiono era una grande famiglia. Quello fu la nostra grande forza. E fu l’unità fra noi che ci permise di arrivare secondi.
Eravamo pronti ad aiutarci sempre, l’uno con l’altro. Eravamo uomini veri, come si dice.
E poi l’importanza dei giovani, un altro aspetto decisivo per costruire una squadra unita e quindi vincente. I più giovani avevano una voglia incredibile di stare con noi grandi. Per imparare, per crescere, per sentirsi anche loro utili, importanti. Questa miscela nello spogliatoio fece grande la squadra, persino al di là delle qualità dei singoli.
Seguo sempre il Toro dal Brasile, vedo le immagini, leggo mi informo. Ho visto cosa è successo a Empoli, anche in occasione de rigore.
Di sicuro fatti così nel mio Toro non potevano succedere. E se queste cose capitano è anche perché c’è una mancanza di comando. Ho scoperto che è un problema che si è ripetuto.
Ai miei tempi i rigori li potevo tirare io, o Dossena, o Zaccarelli. Ci allenavamo tanto al Filadelfia, a sbagliare sempre meno. E poi Radice decideva, dopo aver sentito anche i nostri umori. Di sicuro nella nostra famiglia granata nessuno si sarebbe mai permesso di rubare il pallone.
Ai miei tempi tanti calciatori arrivavano dal vivaio o giocavano nel Toro da anni. Per cui conoscevano la dimensione del Torino, portavano sulle spalle l’identità granata. E per uno straniero come me, per esempio, era più facile inserirsi, comprendere l’ambiente.
Capire cos’è il Toro, insomma. Oggi non si crea più uno zoccolo duro ed i migliori partono sempre.
Il mio Toro era una società forte e ben strutturata. Rossi era un tifoso vero, che parlava poco e delegava molto. Era una persona squisita, che si presentava nello spogliatoio solo quando necessario. E non per farsi vedere. Ma aveva al suo fianco una dirigenza molto forte.
Negli ultimi anni sono venuto diverse volte a Torino. E mi sono fatto un’idea sui giocatori, vedendoli e parlando con un po’ di persone ben informate. Mi è parso che in questi anni troppi calciatori granata non avessero la voglia che avevamo noi di giocare e dare tutto per il Toro.
Non sono attaccati alla maglia come ai miei tempi. Giocano tanto per giocare. Tanto sanno che, nel caso, un posto in qualche altra squadra lo trovano sempre. Pensano prima ai contratti, e dopo alla maglia. E così non costruisci grandi gruppi.
Cairo ha imparato bene da Berlusconi! Dal suo ex padrone! Siete voi che vi sorprendete. Io no. Io compresi subito chi è Cairo tanti anni fa, quando lo incontrai. Andai a cena con lui e Comi. Voleva che facessi l’osservatore del Toro in Brasile per i suoi… occhi belli, per il colore dei suoi occhi… perché li aveva verdi o azzurri… Io ho capito che a Cairo interessano i soldi, interessa chiudere i bilanci in attivo. Il Toro viene dopo. E chissenefrega dei sentimenti dei tifosi! Ho capito subito che voleva guadagnare. Per questo non mi sorprende affatto se la squadra continua a galleggiare a metà classifica, o poco più su. E se i giocatori migliori vengono venduti dopo due o tre stagioni. E se non costruisce una grande struttura dirigenziale e un grande spogliatoio. Ma il Toro e i suoi tifosi meritano di più. L’Europa sarebbe la dimensione giusta del Toro pure al giorno d’oggi, anche se i grandi club hanno ricavi non paragonabili con quelli delle altre società. Ma evidentemente a Cairo va bene così. A Cairo basta così».