Tanti auguri Mondo,la tua sedia entrata nella storia
15 aprile 1992, Stadio Delle Alpi: si gioca Torino-Real Madrid, semifinale di ritorno della Coppa UEFA. Due settimane prima, in Spagna, era finita 2-1 per i Blancos: fra i gol di Hagi e Hierro, il pareggio di Casaggrande. Un risultato che di negativo aveva ben poco, visto che segnare al Bernabeu non era cosa di tutti i giorni per nessuno. Al ritorno, però, c’è bisogno della partita perfetta, di una prestazione tutta grinta, muscoli e rabbia, per superare i peggiori avversari che ogni squadra, in ogni tempo, potesse incontrare. Il Torino mette in campo tutto il proverbiale cuore granata, che affonda le radici al Filadelfia e che non è morto nemmeno sulla maledetta collina di Superga. Al triplice fischio, lo stracolmo Delle Alpi rischia di crollare: un autorete di Ricardo Rocha in apertura porta i granata in vantaggio; poi, al 74’, Lentini mette a sedere Chengo e serve al centro, dove accorre Fusi: finisce 2-0, il Toro è in finale di Coppa UEFA.All’epoca, è sempre bene ricordarlo,la Coppa UEFA era tutt’altra cosa rispetto alla sciapita Europa League che siamo costretti a iniettarci da qualche anno a questa parte: all’epoca la Coppa dei Campioni se la giocavano, appunto, solo i vincitori dei campionati, mentre le altre andavano nell’altra Coppa: insomma, non era Europa di Serie B. Per il Torino, poi, significava sempre qualcosa in più: in tutta la sua gloriosa storia, mai s’era riusciti ad andare così avanti in un torneo continentale realmente importante. E ora si poteva addirittura vincere, lo si sentiva nell’aria. Era tutto fra le mani di Marchegiani, fra i piedi rocciosi di capitan Cravero e quelli vellutati di Schifo, passando per la promessa Lentini e la sicurezza Casagrande in attacco. Era tutto nella testa di Emiliano Mondonico, uno cresciuto in provincia che si ritrovava sulla ribalta del calcio che conta da un anno all’altro. E non era il solo, visto che il campionato precedente aveva riservato più d’una sorpresa: l’aveva vinto la Sampdoria, prima volta nella storia; un riflettore rotto del Velodrome di Marsiglia aveva escluso il Milan dalla Coppa UEFA, si qualificarono le quattro dalla terza alla sesta: l’onnipresente Inter, la matricola assoluta Parma (al primo anno in Serie A) e le vecchie gloriose casate Genoa e, appunto, Torino.Contro ogni pronostico, ai trentaduesimi uscirono sia il Parma che, soprattutto, l’Inter. Genoa e Torino, invece, andarono avanti, e avanti: il Grifone si fermò solo alle semifinali, e solo dopo aver lottato contro l’Ajax. Che ora avrebbe affrontato il Toro nella doppia finale. Ma dopo Hagi, Hierro e Butragueno, che cosa sarebbe stata mai la giovane truppa di Van Gaal?
In realtà la squadra olandese aveva in rosa molti giocatori che l’avrebbero portata, pochi anni dopo, a giocare due finali consecutive della neonata Champions League, vincendo la prima contro il Milan e perdendo la seconda contro la Juventus: c’erano Jonk e Bergkamp, futuri interisti; c’era Winter, che l’anno dopo sarebbe passato alla Lazio; c’era Frank De Boer,c’era Danny Blind, padre di Daley (che gioca nello United) e secondo allenatore dell’Olanda prima con Van Gaal e ora con Hiddink (ma già designato ct degli orange dal 2016); e c’era Van der Sar, che faceva il secondo di Menzo. Era tutt’altro che una squadra da sottovalutare. Ma questo il Toro lo sapeva.
L’andata si gioca al Delle Alpi. L’Ajax aggredisce da subito, e passa in vantaggio dopo 17 minuti: Frank De Boer strappa il pallone a Lentini e serve Jonk, che batte Marchegiani dai trenta metri con un esterno straordinario. Ma non basta così poco per far arrendere il Toro e i sessantamila che sono lì per sostenerli e per sognare: si carica a testa bassa, e nel secondo tempo arriva il pareggio: tiro dalla distanza di Scifo, Menzo respinge corto sui piedi di Casagrande: tap-in, 1-1. Ma dura poco: al 73′ un disimpegno troppo leggero della difesa granata favorisce Dennis Bergkamp: per fermarlo, Benedetti lo atterra in area: è rigore, solare: Petterson non sbaglia e fa 2-1. Colpo del KO? Nemmeno per sogno: all’83’ azione sull’asse Vazquez-Lentini-Casagrande, l’italo-brasiliano si destreggia in area da attaccante puro e batte, ancora, Menzo: finisce 2-2, la finale-finale sarà in Olanda, due settimane dopo.
13 maggio 1992, Stadio Olimpico di Amsterdam: la resa dei conti, per la UEFA. L’Ajax parte con la tranquillità di chi ha due risultati su tre: Van Gaal si chiude alla ricerca della sonnolenza, del passare dei minuti lento ma inevitabile. I granata, dalla loro, rispondono con orgoglio al tentato omicidio di una partita troppo importante. I pericoli sono continui, ma la sfortuna è tanta, troppa. Perché di sfortuna si parla, quando Lentini trova il fondo, crossa e Casagrande stacca benissimo, direttamente sul palo; e di sfortuna si parla, quando Mussi prova la conclusione da lontano, che pure viene deviata, e invece della rete rotola sul palo come una presa in giro; e di sfortuna si parla, quando Sordo, a tre minuti dalla fine, aggancia un pallone colpendolo tanto bene da prendere in pieno la traversa, l’ultimo legno che mancava alla collezione. E, a completare il quadro, Policano perde la testa, riempie di calci Petterson e gli rompe un braccio. Degna conclusione di una serata maledetta. Maledetta come il Torino, dirà Cravero alla fine della partita, quando i tre fischi dell’arbitro avevano già cementato lo 0-0, la vittoria dell’Ajax, la sconfitta granata.Di quella partita si ricorda questo, ma anche altro. Si ricorda che, dopo il palo di Casagrande, Vazquez lanciava Cravero, che era in area seppur si facesse vedere raramente in avanti. Il capitano stoppa e punta Frank De Boer: c’è un contatto, cercato un po’ di mestiere. L’arbitro Petrovic non fischia: è ira. Appena si ferma il gioco, il classico capannello dei giocatori attorno all’arbitro. Poi le telecamere scrutano il bordocampo: Mondonico protesta alzando una sedia. Un retaggio del suo esser cresciuto in paese, dirà poi, perché quando c’erano casini in osteria succedeva che ci si minacciasse a colpi di sedia. Un gesto istintivo e genuino, semplice ma carico di significato. Il Toro, quell’anno, poteva vincerla, la Coppa UEFA. E quella sedia è il simbolo di chi non ci sta, né all’arbitro, né alla sfortuna. Pare che la Federazione Europea non avesse capito tutta la storia dell’osteria, tanto da squalificare Mondonico. Una squalifica mai scontata.
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