Caro Cairo ti scrivo
Un tifoso scrive al Presidente granata il suo disagio.
Egregio Presidente,
mi chiamo L. B., ho 21 anni e sono tifoso del Toro dall’anno in cui Lei lo raccolse dalle macerie del fallimento e lo condusse a una magica promozione.
Avevo nove anni la sera della finale dei play-off contro il Mantova, la mia prima partita allo stadio, e mi ricordo il calore del Delle Alpi e la sensazione di rinascita che accompagnò quella partita, l’illusione che se una squadra costruita in una settimana da un presidente emergente era riuscita a tornare in Serie A dopo aver rischiato di sparire dal calcio qualunque obiettivo fosse realizzabile.
Ho vissuto le prime promesse non mantenute, le salvezze mediocri ottenute con allenatori sempre diversi, esonerati, richiamati, di nuovo esonerati e di nuovo richiamati.
Ho vissuto la retrocessione, le due promozioni fallite, la rinascita con Ventura, fino alle magiche notti dell’Europa League, in quello che considero, finora, l’anno più bello della mia vita. C’era di nuovo quella sensazione, in quelle notti europee. La sensazione che si potesse ottenere tutto ciò che si desiderasse, la sensazione che la musica dell’Europa League si potesse trasformare, nel giro di pochi anni, in quella della Champsions, la sensazione che finalmente ci fosse un progetto da costruire.
Le scrivo perché quella sensazione si sta rivelando ancora una volta un’illusione.
Le scrivo perché, come molti altri tifosi (almeno credo) sono deluso.
Le scrivo dopo Verona-Torino 2-1 perché credo che sia una partita emblematica di ciò che non ha funzionato in questi tre anni dal ritorno in Europa, in questi tre anni esatti dalla notte di Bilbao in cui la crescita del Torino sembra essersi arrestata senza prospettive di ripresa.
Vorrei porLe una serie di domande.
Lei è felice la domenica quando guarda il Toro giocare?
E’ felice di vedere una squadra vecchia, quasi interamente straniera (quando anni fa si era detto di voler puntare su giocatori giovani e italiani) e senza gioco?
Perché ho la sensazione che alla società del Torino manchi un progetto di fondo, un’idea di calcio, obiettivi a lungo termine, e che la squadra sia lasciata alla mercé dell’allenatore di turno, libero di farla e di disfarla a suo piacimento? Perché il Torino non può fare come l’Atalanta, cioè darsi un progetto, puntare sui giocatori del proprio vivaio, puntare su giocatori giovani e possibilmente italiani e assumere un allenatore sulla base di quel progetto?
E’ felice nel vedere che il nuovo Filadelfia è ancora da ultimare e che per giunta non è di nostra proprietà, quando bastavano 7 milioni per averlo nostro (la metà, per intenderci di quello che costerà il riscatto di Niang)?
Da tre anni a questa parte mi sembra che il Toro si sia fermato, autocondannandosi a un limbo di metà classifica che scoraggia tutti, giocatori, tifosi e allenatori.
Ho il terrore che si stia avverando una metafora che circola da diverso tempo tra i tifosi: quella del Toro come una pianta di plastica, bella, ma che non cresce mai.
Le rivolgo ancora una domanda. Lei è uno dei migliori imprenditori italiani; ha fatto passi da gigante nell’editoria, arrivando a governare RCS; è proprietario di una rete televisiva di primordine, che peraltro è riuscito a risollevare dopo anni di crisi (un po’ come il Toro, no?); secondo alcuni nutre anche velleità politiche. Premesso ciò, davvero non le va di dedicare le stesse energie e la stessa determinazione per vincere anche con il Torino? Non le va di vedere la squadra di cui è proprietario lottare stabilmente per un posto in Europa?
Basterebbero pochi sforzi, ma senza di quelli i risultati saranno sempre mediocri.
E la gente inizia a stufarsi sul serio. Io, per esempio, non guarderò più nessuna delle prossime partite del Toro, perché anche quest’anno la squadra ha deciso di terminare il campionato con largo anticipo.
Le chiedo con il cuore in mano di avviare una volta per tutte un vero processo di crescita per il Torino, di dare vita a un progetto a lungo termine, che prescinda dagli allenatori e dai giocatori di turno.
Le chiedo di farlo per la gente del Torino, perché la gente ha bisogno del Torino forse più di quanto sia vero il contrario.
Cordialmente.